Le parole hanno conseguenze

È il titolo azzecatissimo della tavola rotonda organizzata dalla Federazione Cure Palliative e a cui sono stata invitata con l’husband.

Felicissima di aver partecipato perché è un tema che mi sta molto a cuore. È proprio sull’importanza delle parole che si è concentrata la mia riflessione, in questi ultimi due anni sicuramente, ma in fondo mi occupo delle parole da sempre.

È stata un’esperienza arricchente, che mi ha fatto entrare in contatto con persone straordinarie e un mondo, quello delle cure palliative, che conoscevo poco. Ringrazio di cuore Tommaso Fusaro e Stefania Bastianello che ci hanno voluti lì. È stata l’occasione anche per interrogarmi e fare il punto della situazione con me stessa. Quando torni in pista, nel mio caso riprendendo l’insegnamento con annessi e connessi, non hai più tempo per fermarti e chiederti come stai, per ricalibrarti se serve. Sei in pista e devi andare alla stessa velocità degli altri. Ma io faccio fatica, vorrei avere tempo per me stessa, poter seguire i ritmi naturali e non quelli sociali. Per questo ogni occasione è buona per me per fermarmi a riflettere e tirar fuori le parole.

“Le parole sono un ponte” è uno dei punti del Manifesto della comunicazione non ostile che è affisso nelle mie classi e, combinazione, proprio da qui si è partiti per la tavola rotonda aperta da Rodolfo Baggio, uno dei fondatori di Parole O_Stili.              Dal confronto – guidato da Paola Cicerone – con Marta De Angelis e Federico Pellegatta, un medico e un infermiere che quotidianamente hanno contatto con persone che affrontano il fine vita, è emersa l’importanza di ascoltare le storie. Dei pazienti e dei loro famigliari. È importante comprendere il punto di vista di chi riceve le cure. In tutti i pazienti vi è un bisogno di comunicare ma non a tutti viene data la possibilità di esprimersi liberamente. 

Ed ecco il valore terapeutico del Metodo Caviardage di Tina Festa. Ed ecco perché aveva senso per noi essere là. Abbiamo raccontato la nostra esperienza di paziente e caregiver alle prese con le parole della malattia, della medicina, della burocrazia. Parole negative, parole ostili che fanno male e non curano. A volte dette con le migliori intenzioni, il più delle volte con indifferenza. Mi è capitato diverse volte di piangere davanti a un medico, dopo le sue parole. Tutti hanno reagito con stupore, imbarazzo, ostilità…  è evidente che la maggior parte non mette in conto che le parole hanno conseguenze. 

A un certo punto del nostro percorso, abbastanza agli inizi in realtà, abbiamo cominciato a cercarcele noi le parole buone e belle, le parole che curano. E a condividerle. Ho riflettuto sul fatto che il caviardage è stato forse l’anello di congiunzione tra il prima, il durante e il dopo. Nel senso che non ho mai smesso di fare caviardage dal momento in cui ho saputo che avevo un cancro fino ad oggi.

Quando dico che mi sono curata con la chemioterapia e la poesia intendo proprio questo. L’aver avuto la possibilità di affiancare le parole della poesia a quelle della medicina. 

Per la prima volta in questa tavola rotonda io e l’husband abbiamo condiviso con gli altri quelle parole che ciascuno di noi due ha tirato fuori singolarmente e su cui poi a distanza di tempo ci siamo ritrovati. Ed è stato emozionante ritrovare lo stesso sentire, come se ognuno stesse facendo il proprio percorso ma sempre sintonizzato sull’altro. Un modo per prendere un respiro ma non le distanze. Un modo per non annullarsi nella malattia – un rischio concreto per pazienti e famigliari – e per continuare a essere se stessi rimanendo in contatto con l’anima dell’altro. Sono stata fortunata perché ambedue abbiamo dimestichezza con le parole, le amiamo, le coltiviamo, le scriviamo. Per questo ci tengo molto a condividere la mia esperienza e la grande opportunità che il Metodo Caviardage mi e ci ha dato. Vorrei che tutti avessero questa possibilità. È importante guardarsi dentro, mettersi in comunicazione con se stessi prima che con gli altri. Ma questo non riguarda solo i pazienti ma anche i curanti. Se un medico non riesce a mettersi in relazione con il paziente probabilmente la causa è il non sapersi  mettere in relazione innanzitutto con se stesso. Il caviardage è una grande opportunità e io ci tengo a farlo conoscere e a fare formazione in tutti quegli ambienti con cui si ha a che fare con le persone e si creano relazioni. Penso alla Scuola e alla Sanità in primis perché sono gli ambienti con cui mi confronto quotidianamente. Ho ricevuto un dono, voglio condividerlo con gli altri.

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