pagine di vita

L’autrice è anche insegnante certificata del Metodo Caviardage, che consente di ricavare una poesia da una pagina di testo annerendo le parole che non vengono usate nella composizione poetica. Tale metodo, che pure in Tergiverso cede il passo alla poesia tradizionale, torna utile in chiave critica per analizzare i versi e il linguaggio dell’intera raccolta. È come se la poetessa, partendo dalle pagine della propria vita, avesse annerito la moltitudine di parole che vorticano nei pensieri angosciosi del malato, riducendo la lingua alla scarna essenzialità del dettato poetico.

Il titolo Tergiverso, a tal proposito, è esemplificativo. Esso ha origine nello sguardo privo di infingimenti di chi scrive, che si fissa sul «mondo che corre» perennemente incalzato da un tempo ridotto a un «oggi infinito». Ci si trova così davanti al «frangiflutti del destino / che non prendiamo in mano mai», di cui ci sfugge il senso. Ma ‘tergiverso’ può essere letto anche come una forma verbum + nomen, in cui il verbo ‘tergere’ indica l’atto di asciugare e contestualmente pulire il verso, riducendolo a poche, misurate sillabe, tutte pregne di significato. Ciò che Mariella Sciancalepore non fa mai è, invece, tergiversare dal punto di vista etimologico del termine, ossia ‘voltare le spalle al nemico’. Di contro, la scrittura assolve al compito di guardarlo in faccia, quel nemico, senza abbassare mai lo sguardo, resistendo.

I risultati migliori di questo volume si registrano quando alla durezza dell’asettico ambiente ospedaliero Mariella Sciancalepore contrappone il calore degli affetti e della vita quotidiana, alla forza della «mareggiata» il «bisogno / di non essere isola». I corridoi di questo labirinto di Cnosso che è la malattia vengono sostituiti da un’idea di casa da costruire con la persona amata, partendo dai simboli di una terra rappresentata per sineddoche («Stanotte raccoglierò calcinacci / e tu costruirai un muretto a secco»), con accenni di tenerezza quasi lamarquiana: «Faccio casa / dove tu sei / e se non ci sei / faccio casa / di cartone / sotto un ponte / e ti aspetto». Ancora, alla diagnosi fredda dei dottori la poetessa risponde con il proprio vissuto («sono questi i dettagli / per cui vivo»), alla nudità richiesta al paziente fa da contraltare l’umanità del pudore che «resta gentile e indomito / come un camice verde sottile che non ripara / come un plaid ristretto dai lavaggi / estrema difesa di femmina».

La recensione completa QUI.

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