Un anno di benettia

Oggi è un giorno particolarmente difficile. Oggi saluto un’amica portata via dal cancro, un’anima bella e luminosa. Mi mancherà. E mancherà a tante persone. Basterebbe guardare il suo profilo fb per capire molto del suo carattere allegro e della sua generosità. Ci sono solo o quasi foto di gruppo, di amici, di momenti di condivisione. Lascia davvero un vuoto e un senso di ingiustizia. E mi fa riflettere sulla bellezza di essere circondati di amici autentici.

Se uso il termine “benettia” in questo post è per renderle omaggio. Quando lo sentito da lei per la prima volta era passato esattamente un mese dal mio intervento, era un periodo molto cupo e proprio non riuscivo a comprendere questa benettia di cui parlava. Io vedevo tutto nero e non capivo quella sua positività, quel trasformare il male in bene. Ho cominciato a capirlo mesi dopo, quando ho iniziato ad apprezzare i doni che la malattia mi offriva, insieme al resto. Credo di aver iniziato a vederli dopo quel giorno e anche se il mio modo di guardare alle cose e di vivere la malattia è diverso dal suo, più introverso nonostante le apparenze, direi più social ma meno comunità, le devo un cambio di prospettiva.

E proprio oggi che il suo viaggio finisce, o forse inizia per chi ha la fortuna di crederlo, “festeggio” un anno dall’inizio del mio. Credo che non dimenticherò mai quella giornata del 7 febbraio 2017 per la particolarità degli eventi che si sono succeduti. La mattina in classe con le telecamere della Rai a immortalare un successo, frutto di tanto lavoro e di energie messe in circolo senza risparmio, i volti radiosi dei miei alunni.
Il pomeriggio una visita di routine anticipata di una settimana, il volto cupo del tecnico della mammografia prima e del medico poi. La sensazione di essere precipitata nell’incubo di qualcun altro e quel sentirmi sola sul cuore della terra, con in più il cellulare scarico. E infatti una delle prime cose che ho fatto nelle settimane successive è stato comprare un cellulare nuovo quasi non volessi più correre il rischio di essere isolata. Era in fondo l’unica cosa cui potessi rimediare. Tutto il resto mi toccava accettarlo così com’era.

Ed eccomi qui un anno dopo. Nel frattempo ho vissuto, ho sofferto e gioito, come tutti e con uno scetticismo di fondo che nascondo molto bene. Ho perso tutto e ritrovato tanto. Non tornerei indietro anche se potessi, credo, oppure sì se potessi incontrare tutte le persone che ho incontrato, ma comunque non posso per cui il problema non si pone. L’intervento, la chemioterapia, e ora la radioterapia… la sofferenza e la paura, ma anche la gioia delle piccole cose. A volte ancora penso che stia succedendo a qualcun altro, perché io non mi sento in grado di affrontare tutto questo, e quando sono sdraiata sul lettino della trilogy, la macchina per la radioterapia, a guardare la vetrata luminosa provo a fingere di essere altrove. Eppure sono io. E sono qui a cercare di crescere in consapevolezza, a cercare di convincermi che la morte è l’altra faccia della vita, a far finta di credere che c’è un senso a tutto.

Spero che tu l’abbia trovato il senso o almeno una risposta plausibile. E chissà se hai continuato a chiamarla “benettia”…

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