Segni indelebili

Il primo passo della nuova avventura nel reparto di radioterapia dell’Ospedale di Brindisi è compiuto.
Prima di iniziare la radioterapia infatti è necessario effettuare una TC di simulazione e centraggio che consente di individuare in modo preciso l’area da trattare. In parole semplici mi hanno posizionato in modo da stare abbastanza comoda perché quella è la posizione che terrò per i trattamenti successivi (ne devo fare 25), dopodiché mi hanno passato nella lavatrice (in foto) e puntato con dei laser che simulano il trattamento.
Tirata fuori dalla macchina un medico giovane e gentile mi ha tatuato tre puntini per indicare i punti precisi che verranno irradiati durante il trattamento vero e proprio.

Io avevo sentito parlare di tatuaggi ma pensavo fosse un modo di dire e invece, ho scoperto quel giorno, sono dei veri e propri tatuaggi e come tali sono permanenti. Il medico si è accertato che fossi consapevole di questo, cioè che quei tre puntini, tra l’altro minuscoli, fossero indelebili. Non me lo aspettavo, non ci avevo pensato ma credo di aver sorriso. Due volte. Per due motivi.

Il desiderio di farmi un tatuaggio, di quelli belli, colorati, personalizzati, mi ha attraversato diverse volte e non l’ho mai accantonato del tutto. Magari me lo regalo ai 50 anni… La remora maggiore? Il fatto che siano indelebili, che sia un segno permanente. E ciò che è indelebile mi intimorisce. I “per sempre” mi fanno paura. Mi vorrei riservare la possibilità di cambiare idea. Le persone cambiano, cambiano le idee, cambiano i corpi, cambiano i desideri e un tatuaggio non muta, non si trasforma o forse si deforma. E ora mi ritrovo questi tre puntini che mi faranno compagnia per sempre. Mi ci abituerò. Sono segni permanenti, non andranno più via mi hanno solennemente specificato mentre ero distesa sul lettino della macchina. Ci ho pensato un attimo, solo un attimo e ho sorriso di nuovo.
Credo siano ben altri i segni che mi rimarranno di tutta questa disavventura e sono tutti indelebili. Segni fisici ovviamente, ma non solo. In questo momento sono talmente tanti i segni che ogni giorno mi impediscono di far finta di nulla che non potrei elencarli senza annoiare Alcuni, lo so, col tempo spariranno, altri si attenueranno, molti rimarranno. Rimarranno le cicatrici dell’anima se quelle del corpo svaniranno. Credo che il dolore, la paura si sedimentino e lascino anche loro un segno. Ma anche l’amore ricevuto, spero, rimarrà come riserva aurea da qualche parte dentro di me, per i momenti bui. Poi ci sono gli sguardi. Quelli altrui  prima o poi torneranno “normali” ma è lo sguardo mio su di me che è cambiato per sempre.

Un anno da ricordare

Sì un anno da ricordare, non da dimenticare. Ammesso che abbia un senso questa separazione così netta tra un anno e un altro, come se davvero ci fosse differenza tra il 31 dicembre 2017 e il 1 gennaio 2018, come se davvero tutto potesse cambiare mettendo un 8 al posto del 7. Però ci speriamo sempre che l’anno che verrà sia migliore di quello passato. È nella natura umana sperare. Ma c’è mai stato un anno bello? E cosa si intende per anno bello? Senza lutti, senza malattie, senza dispiaceri?

Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.
Passeggere. Come quest’anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.

Diciamo che è soggettivo e diciamo anche che ricordiamo più facilmente un anno brutto, anche se poi a ben vedere la percentuale di dolore e piacere ogni anno è la stessa o varia di poco ma siamo noi che attribuiamo un significato particolare a un episodio piuttosto che a un altro. Ma sto divagando. Tutta colpa di Leopardi.
Di questo 2017 cosa posso dire? Di certo mi ha visto affrontare situazioni ed emozioni che non definirei belle. Ho sofferto, questo lo posso dire. Sofferenza dell’anima perché non ero preparata e mille volte avrei voluto poter fuggire lontano. È stata una sofferenza il distacco dai miei alunni, dalla scuola in generale, è stata una sofferenza sentirsi debole, è stata una sofferenza l’intervento, l’avvelenamento della chemio che ancora ha i suoi strascichi. Una sofferenza non poter leggere e studiare, non dormire, non sentire i sapori. Vedere l’angoscia riflessa negli occhi dei miei cari è stata una sofferenza. Potrei continuare questo elenco, eppure non mi sento di maledire questo 2017, vissuto in maniera davvero intensa, giorno dopo giorno. Sarebbe come buttare il bambino con l’acqua sporca. Questo anno mi ha anche dato tanto. Mi ha fatto stringere nuove amicizie e ciascuna di queste persone è custodita gelosamente nel mio cuore. Mi ha fatto ritrovare amiche che non sentivo da anni a testimonianza che se c’è stato un affetto sincero c’è sempre un posto riservato per loro. E di contro mi ha dato la possibilità di sgamare le amicizie insincere, quelle che non sono state capaci di fare un passo, troppo prese da se stesse. Ma soprattutto questo anno mi ha dato la possibilità di confrontarmi con me stessa, con le mie debolezze, le mie paure, le mie timidezze, le mie contraddizioni, i miei limiti. Di conoscere me stessa, di accettarmi e volermi bene. Mi ha dato e mi sta dando la possibilità di esprimere i miei sentimenti in maniera aperta. Ne ho ancora di strada da fare, sono davvero all’inizio di questo percorso di autoconsapevolezza, che non sto facendo da sola, ma credo di essere a un punto di svolta. È doloroso a volte ma è l’unica strada se voglio ritrovarmi, alla fine di questo tunnel, diversa, più forte, più serena.
Sicuramente l’anno passato mi ha insegnato a relativizzare, a guardare dentro me stessa e a guardare in faccia la vita. Non mi sembra poco.
In definitiva non mi sento di benedire questo anno ma nemmeno di maledirlo, soprattutto non voglio dargli questo potere. Il tempo è una convenzione, la vita la facciamo noi.

“Non è combattendo ciò che odiamo ma salvando ciò che amiamo è così che vinceremo.” (Rose, in Star Wars, Gli ultimi Jedi)