Panchine

La scuola è iniziata da alcuni giorni, portandomi una grande malinconia. Perché quest’anno io non sarò in campo ad allenare alla vita le mie alunne e i miei alunni. Sarò in panchina. A guardarli allenarsi. Inizialmente ne ho molto sofferto, sentire nell’aria quell’adrenalina, quella voglia di scendere in campo che contagiava le mie colleghe mi faceva sentire inutile. Avevo tanti progetti per quest’anno scolastico e mi ritrovavo con tante domande e preoccupazioni per il futuro. E soprattutto una grande paura di perdermi qualcosa. Di perdere la mia identità. Poi la scuola è iniziata e io ho capito che non potevo permettere alla malattia di strapparmi anche l’anima, dopo aver intaccato la mia immagine di donna.
Ho iniziato a vedere questa pausa forzata come un’opportunità. E ho capito che un distacco dalle emozioni forti che il mio essere insegnante comporta era necessario. Ho bisogno di tempo da dedicare a me stessa, di ritrovarmi. Se imparo a sfruttare bene questo tempo sarò anche un’insegnante migliore quando tornerò in campo. Per questo vorrei provare a fare una parte di tutte quelle cose a cui da settembre ero costretta a rinunciare, per stanchezza. Senza ansia da prestazione, senza strafare (anche perché le mie risorse fisiche sono comunque limitate) ma con leggerezza. Voglio guardarmi intorno e capire. Corsi di aggiornamento, cinema, teatro e soprattutto tanta poesia. Per iniziare. Ma ciò che è importante è avere uno sguardo nuovo sulle cose e su me stessa. Quest’anno mi ricarico. E quell’agenda dell’insegnante che quando è arrivata mi ha fatto versare una lacrima ho deciso di riempirla con le esperienze di questi mesi perché io resto un’insegnante. Momentaneamente in panchina. Ma ci sono panchine che ti permettono di partecipare alla vita, altre su cui dormire e aspettare che passi l’inverno. Io ho scelto la mia.

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